Cosa fare questa domenica? Un salto a Genova per la mostra di Banksy

Non riusciamo ad essere costanti quanto vorremmo, purtroppo sono tante le scadenze di questo periodo. Prima di tutto il rendiconto delle spese e delle entrate relative all’anno 2019… Forse non si direbbe ma anche una piccola associazione come la nostra deve monitorare e conservare fatture, quietanze F24, buste paga etc. Inoltre – sempre nel consiglio direttivo che terremo a marzo – andremo a discutere insieme a tutti i soci (cosa aspetti a diventare uno dei nostri?) delle attività che stiamo organizzando per il 2020, in modo da stilare un bilancio preventivo dei costi e valutare l’impatto che gli stessi avranno sul nostro impegno. 

Nonostante le pratiche noiose da sbrigare lo scorso weekend non ci siamo persi d’animo e domenica abbiamo deciso di prendere il treno alla volta di Genova. Da un po’ desideravamo visitare la splendida monografica di Banksy e abbiamo preso due piccioni con una fava sfruttando il fine settimana dedicato ad ArteGenova, fiera d’arte moderna e contemporanea organizzata ogni anno in Piazzale Kennedy, proprio di fronte al mare.
Partiamo però dalle aspettative: credevamo di lasciare la soleggiata Torino per l’altrettanto assolato capoluogo ligure e invece siamo stati colti da pioggia battente. Poco male, la mostra dedicata all’artista britannico è valsa anche i vestiti bagnati.
Organizzata nel sottoporticato di Palazzo Ducale, l’esposizione “Il secondo principio di un artista chiamato Banksy” ci ha particolarmente colpiti per l’allestimento ordinato e pulito, per i commenti disposti qua e là dei curatori (Stefano Antonelli, Gianluca Marziani e Acoris Andipa) e di altri critici, per le didascalie esplicative che aprivano la comprensione dell’opera a tutti anche ai bambini (davvero tantissimi i presenti). Ci è piaciuta anche la commistione di reperti diversi: dalle copertine dei CD – perlopiù dei Blur – disegnate dall’artista alle locandine delle sue mostre, per arrivare alle magliette, ai Black Books e ai poster di Dismaland (vi ricordate l’inquietante parco non divertimenti aperto nel 2015 presso il Tropicana, un lido marittimo in disuso nel Somerset?). A tutto questo ovviamente si aggiungono le opere vere e proprie, che hanno attirato e attireranno nel mese a venire (la mostra si concluderà il 29 marzo 2020) migliaia di persone provenienti da tutta Italia ed Europa. Sono tante le riflessioni a cui le numerosissime serigrafie presenti conducono il visitatore: le ingiustizie sociali, le contraddizioni e i limiti del nostro presente.

Banksy attraverso un linguaggio iconico affascinante, riconoscibile e comprensibile ai più sposta la nostra attenzione su tematiche urgenti. La visita si apre con le numerose rappresentazioni di topi, a cui Banksy dedica varie opere e riflessioni: “Esistono senza permesso. Sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione tra la sporcizia. Eppure sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà”. La condizione dei topi viene paragonata a quella in cui sono costretti a vivere gli street artist, proprio per questo l’artista riprende l’idea dello street artist francese Blek Le Rat che negli anni Ottanta dissemina Parigi di roditori.

Ma non si ferma qui, affronta spesso la condizione dell’infanzia, da ricordare che nel suo libro Wall and Piece scrive: “Molti genitori sarebbero disposti a fare qualsiasi cosa per i loro figli, tranne lasciarli essere se stessi”. Ed è un concetto che sembra essere recuperato nella serigrafia “Virgin Mary (Toxic Mary)” in cui attraverso un détournement debordiano la Madonna rinascimentale nutre il Bambino con un biberon di veleno. Per alcuni l’immagine rappresenta una critica al ruolo della Religione nella Storia; altri invece ritengono che si riferisca all’educazione dei nostri figli.
O ancora attraverso la post-produzione di una nota fotografia scattata durante la Guerra del Vietnam, “Napalm (Can’t Beat That Feeling)”, vincitrice del Premio Pulitzer analizza il paradosso che sta dietro alla nostra società. In questa versione affianca alla protagonista della fotografia due icone della cultura popolare americana: Topolino e Ronald McDonald (per l’esposizione del 2006 “The Darkest Hour There May Be Light” aggiunge macchie di sangue rendendola ancora più inquietante). Anche in “Festival (Destroy Capitalism)” del 2006 commenta la volontà e capacità del capitalismo di assoldare e corrompere tutti quelli che si oppongono a questo stesso sistema economico. Qui si riferisce alle sue edizioni vendute per poche sterline presso Pictures On Walls ma che vedevano il loro valore aumentare sul libero mercato.
Anche con la scultura “Mickey Snake” apparsa a Dismaland nel 2015 in cui un serpente ingoia Topolino critica l’approccio irreale e favolistico alla vita promosso dal colosso Disney, suo bersaglio frequente.

A tutto questo si aggiunge un’enorme critica ad alcuni fatti politici. La celeberrima “Love Is In The Air (Flower Thrower)” appare per la prima volta sotto forma di stencil nel 2003 sul muro costruito per separare israeliani e palestinesi nell’area del West Bank. Sempre a condannare coloro che hanno reso la Palestina “la più grande prigione a cielo aperto” nel 2017 a Betlemme si è occupato del restyling dell’hotel con la vista più brutta del mondo, il Walled Off Hotel (che dà proprio sul muro creato da Israele). In particolare la stampa digitale presente in mostra rappresenta dei bambini intenti a divertirsi su una giostra che non è altro che una delle torri di guardia presenti su tutto il muro di separazione. 

Un altro soggetto a cui ha dedicato molte opere del suo lavoro è l’ipocrisia nascosta dietro la gestione del potere, ne è un valido esempio “Queen Vic” del 2003 in cui la Regina Vittoria (colei che aveva dichiarato l’impossibilità delle donne ad essere gay) viene presentata mentre si trova impegnata in una pratica sessuale detta “queening”.

Altro tema centrale è la volontà di Banksy di stare lontano dal mercato dell’arte, tanto da prendersi gioco delle sue leggi in più occasioni. Vi ricordate l’autodistruzione dell’opera avvenuta nel 2018 in occasione dell’asta di Sotheby’s a Londra? Sicuramente l’episodio più conosciuto ma non il solo basti ricordare l’esposizione della durata di sei giorni dell’opera “Soup Can” al Moma di New York nel 2005 con la didascalia “Tesco Value Tomato Supe”. Il dipinto non era altro che la post-produzione di uno dei soggetti più famosi e rappresentativi di Andy Warhol. 

Utilizzando gli strumenti a lui più congeniali, senza perdere il contatto con la realtà, avvalendosi perlopiù di forme semplici, Banksy ci permette di leggere quella che Gianluca Marziani definisce “Un’arte facile in apparenza ma complessa oltre l’apparire”. E i curatori della mostra ci congedano con una riproposizione del murales apparso a Venezia in occasione della 58esima Biennale in cui un bambino naufrago con il giubbotto salvagente tiene in mano un razzo segnaletico e dando voce a una delle scimmie di Banksy che come in una profezia ci ricorda: “Ridi adesso, ma un giorno saremo noi a comandare”.

E se da un lato terminiamo la visita con una bella inquietudine addosso, dall’altro non dimentichiamo “Girl With Ballon” del 2004-2005 che è lì a ricordare a tutti che c’è sempre una speranza. DA VEDERE!